Tazza attingitoio

Ultima modifica 26 ottobre 2023

Piccolo recipiente dotato di manico che serviva per attingere i liquidi da contenitori più ampi.
È un po’ l’antenato del nostro mestolo da cucina.

Come l’originale, la tazza qui presente è stata fatta a mano, attraverso la cosiddetta tecnica del ‘colombino’, che prevede la realizzazione di lunghi cordoni di argilla arrotolati l’uno sopra l’altro ed in seguito lisciati insieme con le mani bagnate. 

I punti di contatto tra i diversi colombini (i cordoni di argilla) non sono più percepibili al tatto perché la superfice del vaso nella fase finale della sua lavorazione è lisciata. In questo caso si tratta di una levigatura molto accurata, chiamata brunitura, tanto che la superficie assume un effetto quasi lucido.
Questo tipo di operazione rende tutta la superficie meno porosa, più impermeabile e quindi più adatta a contenere liquidi. 

Sul fondo è presente l’omphalos (onfalo o ombelico) una rientranza che svolgeva una funzione di aiuto nella lavorazione del vaso perché consentiva di tenerlo con una sola mano mentre con l’altra si inseriva un dito nella depressione esterna e il pollice sul bordo. 


La tazza è stata rinvenuta nella tomba 21 che ospitava il corpo di una donna. Vi era un ricco corredo ornamentale, tra cui orecchini, molte fibule in bronzo, un torques (un tipo di collana rigida), collane, delle armille, alcuni pendagli e numerosi i vasi sia di ceramica che di bronzo.

Datazione: VI sec. a.C.


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